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L'entrata in vigore delle normative sulle emissioni Euro 5 e successivamente Euro 6 ha obbligato i Costruttori automobilistici ad adottare sistemi di post-trattamento dei gas di scarico molto sofisticati. Vista la notevole crescita tecnologica dei motori diesel, uno degli obiettivi a cui i Costruttori si sono interessati maggiormente (e che nel contempo rappresenta uno dei traguardi più difficili da raggiungere) è la drastica riduzione delle emissioni di particolato (PM) NOx e CO2.

 

Il particolato è una caratteristica peculiare dei motori a gasolio: la normativa Euro 6 prevede valori di PM molto prossimi allo zero: 0,005 g/km. Per rientrare in questo limite, la maggioranza delle motorizzazioni diesel Euro 6 hanno adottato un particolare dispositivo chiamato FAP (filtro anti particolato) o DPF (Diesel Particulate Filter).

 

Questo filtro si comporta come una trappola per il particolato, essendo in grado di trattenere le particelle solide e di abbattere le emissioni con un'efficienza molto alta. Come noto, però, tutti i filtri tendono ad occludersi col tempo e devono essere quindi 'rigenerati'. 

 

La fase di rigenerazione avviene innalzando la temperatura all'interno del filtro ad oltre 600 °C, tramite delle post-iniezioni di carburante nella camera di combustione durante la fase di scarico (il 5° tempo, così è stato soprannominato da Peugeot). Alla temperatura di circa 600 °C il particolato brucia completamente liberando i pori. Tale rigenerazione avviene periodicamente ed è comandata dal sistema di diagnostica dell'auto che rileva la differenza di pressione tra ingresso e uscita del filtro. Tuttavia, il DPF intrappola non solo il particolato ma tutti i solidi emessi allo scarico, tra cui i residui della combustione, incluso anche il lubrificante che trafila in camera di scoppio. 

 

Gli elementi metallici del lubrificante, sottoposti ad alte temperature, formano composti solidi (le cosiddette 'ceneri') che non possono essere eliminati se non a temperature di migliaia di gradi. Questi rappresentano, pertanto, una parte non rigenerabile e si accumulano nei pori del filtro senza poter essere rimossi durante la rigenerazione; una loro elevata concentrazione comporterebbe una notevole diminuzione della pressione di uscita dei gas di scarico ed un notevole scadimento delle prestazioni dell'auto. 

 

E' dunque in questa fase che l'olio lubrificante è chiamato a fare la sua parte: la formulazione 'Low SAPs' rappresenta la naturale evoluzione nella tecnologia degli oli lubrificanti in quanto è quella a più alta compatibilità con i filtri DPF. I lubrificanti 'Low SAPs' (Sulphated Ash, Phosphorus and Sulphur ) hanno un bassissimo contenuto di ceneri solfatate, fosforo, zolfo ed evitano pertanto la prematura ostruzione del filtro DPF. 

 

Utilizzando lubrificanti tradizionali, non Low SAPs, il fenomeno dell'intasamento del filtro avverrà in breve tempo, con conseguente drastica diminuzione di efficienza del motore, fino al completo arresto del veicolo. 

 

La sostituzione del filtro, potrebbe poi costare anche più di un migliaio di euro. E' evidente che la nuova tecnologia ha rappresentato per i formulatori una vera e propria sfida tecnica: occorre infatti garantire lunghi intervalli di cambio d'olio, prerogativa delle vetture moderne, ma rispettando dei veri e propri 'limiti' nella formulazione. 

 

Come distinguere un olio di tecnologia tradizionale da uno 'Low SAPs'? Ci aiutano le specifiche ACEA e le omologazioni dei vari Costruttori; per quanto concerne ACEA, l’Ente europeo ha previsto, accanto alla categoria 'A' per i motori a benzina e alla 'B' per i motori diesel, una terza categoria 'C', ovvero benzina e diesel 'Catalyst Compatible', compatibile con catalizzatori e sistemi di post-trattamento vari.